Questa sera, 22 Giugno, durante l’ormai affermato evento dell’estate Ferrarese “Un Fiume di Musica” si terrà il concerto dei Tudantran, con la partecipazione dei Camelot Combo gruppo composto da richiedenti asilo, che si esibiranno alle percussioni. Il progetto di volontariato nato in sinergia tra l’Associazione Musicisti di Ferrara e l’Associazione Camelot è gestito dall’insegnante di percussioni della Scuola di Musica Moderna Flavio Piscopo che ha preparato i ragazzi per l’esibizione di questa sera. Sarà la prima esibizione, una performance di circa 15 minuti provato non senza difficoltà in questi mesi. Ragazzi che con l’evolvere del progetto si è unito, creando una sinergia unica nel gruppo dando la possibilità al progetto di proseguire e di portare in Ottobre uno spettacolo al Teatro Comunale di Ferrara.
Avevi mai fatto prima delle esperienze del genere?
No, con immigrati no, altre situazioni, per me è stata una bella esperienza questa, lo è ancora e lo sarà ancora, non tutti i mali vengono per nuocere, i ragazzi del primo gruppo si sono allontanati per problemi religiosi, e gli aderenti al progetto che ci sono ora non hanno questo problema, e potranno far parte di questa ensemble in modo più continuo.
Com’è venuta l’idea di fare un’esibizione durante gli aperitivi?
Si è creata un’occasione. Quando abbiamo proposto il concerto io, Lele Barbieri, Corrado Calessi e Ludovico Bignardi è nata quest’idea che non era malvagia perché sai, Afro-Mediterraneo, molto afro la situazione qua giù e alla fine è entrato in simbiosi
Nel disco Kalenda Do Sol che guardavo prima, c’è un pezzo “Africa Brother” quindi un discorso importante per te questo.
E un pezzo, che quando lo eseguivo, ed eseguo tuttora, dedico al Sud dell’anima, dove si rifugiano tutti i fallimenti, le sofferenze, e tutto questo fa sì che poi l’ uomo possa elevarsi verso l’alto. È dedicato poi chiaramente a tutti i deserti, quelli visibili e quelli interiori e sicuramente a questi ragazzi che sono arrivati qua da noi. C’è una riflessione che vorrei fare. Penso che nonostante tutta questa “merda” che ci cade addosso, la vita sia bella, e questi ragazzi, nonostante la loro traversata dolorosa del mediterraneo in cui avranno attraversato sicuramente dei momenti terribili, qua c’erano delle persone pronte a fargli suonare dei tamburi. È una cosa su cui riflettere. Tutto sommato questo mondo non va a rotoli come vogliono farci credere, anche se credo sia tutto subordinato a quello che crediamo noi e quello che ci portiamo dentro il cuore. Sposo la frase del film di Benigni “La vita è bella”.
E la Meraviglia, per loro essere qui è stato un trauma in senso positivo.
Si esatto, e come quando guardi un mendicante, che non ha neanche da mangiare e gli dici: ”Ma stai tranquillo, magari un domani potrai diventare sindaco di Milano” questi miracoli sono successi realmente, è la vita. Bisogna sempre vivere giorno dopo giorno e aspettarsi sempre il meglio che possa arrivare, e vale anche per questi ragazzi, che hanno dato molta disponibilità. In questa esibizione, ci sono tre forme d’arte: la percussione, quindi la musica; la recitazione e anche la danza, perché una ragazzo che danza e recita si è inventato una cosa di sana pianta di altissimo livello spirituale e ha incominciato a decantare e questo da molta emozione, poi soprattutto con l’aiuto di Corrado Calessi che farà un tappeto musicale alle tastiere e ne esce un qualcosa di emozionante e spirituale allo stesso tempo, qualcosa che aprirà davvero il cuore delle persone.
E bello come questo sia un esempio di culture differenti s’incontrino grazie alla musica.
Loro sono arrivati qua portando la loro cultura. Hanno apprezzato molto che qua ci fosse un bianco che fosse disposto a insegnare cose che non conoscevano. Questo ti fa capire che aldilà del nostro aspetto esteriore, noi dentro portiamo delle situazioni, dei “codici umani” e spirituali, che fanno sì che possiamo essere anche altre persone a differenza di quello rappresentiamo esteriormente. Alcuni di loro sono arrivati qua quasi a digiuno per quanto riguarda nozioni ritmiche, però hanno della forza estemporanea dentro di loro, e questo è stato fondamentale perché nonostante gli venga detto quello che devono fare, e magari tecnicamente non riescono a soddisfare la tua richiesta, ci mettono quel cuore, quel pahtos che alla fine riescono comunque a raggiungere l’obiettivo finale, anche se fanno una cosa leggermente diversa da come gliela avevi chiesta.
Però è questo il bello perché la musica è espressione.
Li lasciamo liberi di potersi esprimere, gli diamo la possibilità d’inserire nell’ensemble tutto quello che hanno nel cuore. Mi ricordo sempre quando io ero un ragazzino e iniziai a suonare con James Senese mi diceva sempre: “Io non posso dire che cosa devi fare, devi essere tu a farlo, devi interpretarlo tu quel brano”. La musica è di tutti noi. La lettura è molto importante, la tecnica è importante, però rischiamo molte volte di incastonare le nostre anime all’interno di recinti e poi creiamo dei limiti. Loro, che sono venuti qua per fare della musica, hanno un anima speciale. Questa cosa è stata proposta a tanti, e solo loro hanno accettato di venire perché gli interessava fare questo percorso, gli interessava dire qualcosa di se stessi che avevano dentro. Poi alla fine si crea una situazione di dare/avere.
E a te cosa ha dato quest’esperienza?
A me ha dato un’emozione fortissima quando li ho visti presi da tutto ciò, soprattutto quando mi sono trovato davanti a delle persone che sapevano fare poco, e messi insieme fanno forza riuscendo a creare quest’ensemble ritmico e sonoro che in qualche modo ti catapulta di energie positiva ed io sono stato preso positivamente da tutto questo ed è una cosa che porterò sempre nel cuore. Tra le altre cose spero, di poter aggiungere qualche altro brano oltre a quello che eseguiremo per la prossima performance che ci sarà al teatro comunale e ne vorrei proporne uno in 6/8 un tempo tipicamente afro. Ho visto in effetti che loro questo tempo riescono a farlo istintivamente.
Su un saggio che scrivevo sulla musica, dicevo che il ritmo è nato in Africa, fin dal primo battere dei piedi sulla terra.
Hanno inventato, infatti, uno strumento che poi è stato sviluppato in Spagna per diventare l’attuale cajón. Inizialmente suonavano su delle cassette di frutta, non avevano neanche i tamburi o la batteria. Riescono a far suonare tutto quello che gli capita, anche un tavolo. Il concetto che io ho voluto ribadire in queste sedute, soprattutto in fase di “solismo”, dal momento che uno di loro quando fa l’assolo si lascia andare liberamente e poi si perde, bisogna sempre avere dentro di sé la concezione di dove si è nel brano . L’equilibrio è molto importante. Questo non è un problema loro, ma è un limite, hanno bisogno in qualche modo di qualcuno che assembli tutto quello che hanno di buono, qualcuno che crei un giusto equilibrio tra cuore e cervello. Devono sempre tenere sott’occhio il tempo, che è molto importante perché noi abbiamo un’idea molto precisa del tempo, loro un po’ meno, ma la musica va suonata in certo modo, non puoi permetterti di andare fuori, devo dirti che comunque bisogna seguire una certa linea ritmica che abbiamo fissato.
Mi è appena venuta quest’immagine mentre ti ascoltavo: Ti vedo come un pittore, che secondo le sue immagini dipinge il ritmo e da un equilibrio a tutto come un lavoro su tela.
Io ho lavorato in effetti, a sensazione, tutte queste idee sono venute al momento, il brano è costituito da una parte libera, dove ho cercato di dare delle immagini ad esempio: “Immaginate un vulcano in eruzione con i sassi e la lava che cadono” e già lì c’è un concetto come dici tu di pittura; poi un’altra parte dove il brano si avvia in modo molto forte, quindi una marcia riconducibile alla terra; terza parte, danza e solo di percussione; quarta parte, bordone di tastiere, grandi atmosfere dell’anima e recitazione. In questa traversata dal mio punto di vista sono riuscito a dipingere tutti i momenti da quando sono partiti e son arrivati qua. L’ho vista così. In conclusione il brano muore e questa fine per loro rappresenta l’inizio della vita, perché dopo la traversata, giunti sulla terra, sfiniti, sono arrivati qua, e in questo confine sottile passano dal rischio di morire a una nuova vita.
Ringraziamo Flavio per la disponibilità ci auguriamo che il progetto intrapreso continui con successo.
Raffaele Cirillo