
Il Sestetto Di Ponticelli: Quando Il Jazz Diventa Narrazione
Settembre. Camminiamo in un bosco. Le temperature iniziano ad abbassarsi, ma i colori luminosi e vivaci dell’autunno ci riscaldano. I rami lasciano filtrare qualche pallido raggio di sole. Si spogliano gli alberi e le foglie si esibiscono per noi: una danza vorticosa e leggera allo stesso tempo. Siamo di fronte ad un vero e proprio spettacolo di profumi e colori; è il momento dell’anno in cui tutto esplode nel suo meraviglioso epilogo. Siamo in bilico. La spensieratezza estiva scivola via e lascia spazio alla malinconia del prologo dell’inverno. Si percepisce il retrogusto della fine e dell’inizio, una solitudine calda unita ad un senso di libertà.
Molto probabilmente vi starete chiedendo cosa ci fa questo quadretto autunnale in un magazine musicale. Beh, ve lo spiego subito.
Questa è l’immagine che mi si dipinge davanti agli occhi, vivida ed inaspettata; queste sono le sensazioni che provo appena il sestetto jazz , guidato da Francesco Ponticelli, attacca le prime note del brano “Settembre”.
In un attimo mi sono ritrovata completamente da un’altra parte: con il corpo ero ancora lì, tra la gente e la luce soffusa del Torrione, ma con la mente ero immersa nel paesaggio autunnale ( il mio preferito, tra l’altro).
La tromba di Alessandro Presti e il sax alto di Piero Bittolo Bon tracciavano nell’aria, con i loro agili assoli, la traiettoria delle foglie in volo ed il soffio impetuoso del vento; la batteria di Enrico Morello scandiva il tempo con un ticchettio che mi ha ricordato quello della pioggerellina sottile quando cade pigramente dal cielo. E’ incredibile come degli strumenti possano rievocare in modo così nitido e sincero le vibrazioni della natura.
Inizia un altro brano e la mia fantasia subito riprende il volo.
I colori caldi dell’autunno restano, ma ora li ritrovo in un cielo che sembra dipinto da un artista. Il sole arrossisce: è la silenziosa ora del crepuscolo. Mentre si spegne il giorno e si accende la sera, una solitaria carrozza avanza verso una meta ignota.
Il viaggio continua.
Questa volta vengo catapultata nel mondo letterario con “Woland”, brano che richiama il personaggio bulgakoviano de Il Maestro e Margherita. L’atmosfera si fa sfuggente ed enigmatica; la musica penetra davvero la psicologia del personaggio diabolico.
Ben presto ho capito che ogni singolo brano mi avrebbe regalato una storia, un’immagine o un’emozione, così mi sono abbandonata a questa musica fatta di ritmo, melodia, sentimento, creatività e tanto trasporto. Sono rapita da questi strumenti che hanno così tante storie da raccontare; le note sembravano prendere vita proprio come le parole che escono dalla penna di uno scrittore.
Ma purtroppo, come tutte le cose, anche quelle belle prima o poi finiscono, così il gruppo è costretto a salutarci. Ci regala un pezzo frizzante, a tratti funky, al ritmo del quale è impossibile non lasciarsi trascinare. Tra gli applausi scroscianti del pubblico si spezza la magia anche se l’emozione volteggia nell’aria.
Una serata come questa non può far altro che lasciare un sorriso sulle labbra e un grande senso di soddisfazione. Fa riflettere su quanto tecnica e rapidità di esecuzione non siano tutto: bisogna essere anche in grado di trasmettere emozioni e lasciare il segno. A mio avviso, questo sestetto così affiatato e sinceramente appassionato, ci è riuscito: i musicisti si sono calati nelle parti e nelle atmosfere, esplorando le infinite possibilità espressive della musica.
Si dice sempre che quest’ultima sia un alfabeto universale e che allo stesso tempo lascia tanto spazio alla sensibilità di ciascuno. Mi sono guardata attorno e mi sono chiesta se qualcuno di quei volti sconosciuti fosse stato colto dalle mie stesse sensazioni e ho provato a immaginare quali altri pensieri potessero invece aver affollato la fantasia del restante pubblico. Sono sicura che, comunque sia, tutti abbiano percepito l’intenzione del sestetto di raccontare e raccontarsi.
Il jazz ha una nomea difficile: molti lo conoscono come un genere musicale complicato da seguire, non immediatamente orecchiabile. Un concerto come quello a cui ho assistito ci insegna come la pura musica, indipendentemente dal genere e dalle parole, possa arrivare dritta al cuore.
Serate come queste ti fanno andare a letto felice e con un qualcosa in più. Sono convinta che l’ascolto in questi casi resti comunque l’esperienza centrale e proprio per questo vi invito a non restare ancorati alle vostre certezze musicali. Chissà, magari potreste scoprire qualcosa di bello e inaspettato… proprio come è successo a me.
Francesca Marchetti