Non pensi staremmo meglio, senza la tentazione di fingere la tenerezza d’un tempo? Non pensi staresti meglio, senza le mie braccia avvinghiate al tuo collo? Dormiamo ancora insieme, come fossimo amanti. Ma io odio dormire con te. Odio camminare con te. Odio il modo in cui mi fai sentire. Ho bisogno di nuovi modi di sprecare il mio tempo. Perché odio anche dormire da sola, camminare da sola. La verità è che odio sentirmi sola. E faresti meglio a farmi stare meglio.
(Dai brani “To Belong”, “Still”, “Alone / With You”, “New Ways” e “Numbers”).
I Daughter sono un gruppo musicale londinese, formatosi nel 2010. Elena Tonra (voce principale, chitarra ritmica e basso), Igor Haefeli (chitarra solista e cori) e Remi Aguilella (percussioni), con l’aggiunta di una tastierista (sintetizzatore, basso e cori) diversa ogni anno. Prodotti dalla prestigiosa etichetta 4AD, scrivono canzoni sul mal d’amore, in tutte le sue forme. Insicurezza, infelicità, smarrimento. E’ impossibile equivocare o eufemizzare i testi di Elena Tonra. Raccontano le relazioni, le manipolazioni, l’inganno, l’abbandono.
Hanno inciso due album ufficiali, “If You Leave” e “Not To Disappear”, più 3 EP (“Demos”, “His Young Heart” e “The Wild Youth”), a cui aggiungere brani rari mai incisi e i brani bonus dei singoli, per un totale di 42 tracce. Degni di nota anche l’album “4AD Session”, contenente 5 tracce riarrangiate dal compositore classico Joe Duddell; e l’album “Music From Before the Storm”, colonna sonora del videogioco “Life is Strange”.
Chi scrive ha avuto la fortuna di conoscere di persona i componenti della band, con tanto di due baci alla cantante e una piacevole e indimenticabile conversazione. Ero a Sesto Al Reghena, l’anno scorso, mentre Elena, Igor e Remi annegavano nell’alcol i loro dispiaceri, subito dopo il concerto. Quest’anno, non potevo certo esimermi: non appena ho saputo del concerto a San Mauro Pascoli, tenutosi il 5 Settembre scorso, ho subito comprato il biglietto.
Erano visibilmente più provati rispetto allo scorso anno (Elena col torcicollo e Remi col raffreddore), ma è impossibile non amarli lo stesso. La precisione con cui suonano dal vivo è assoluta, la dolcezza con cui ringraziano i presenti scoraggerebbe le cause di diabete più affermate. Per non parlare di quelle sonorità travolgenti, così meravigliosamente indie, che abbracciano e cullano chi ascolta. Sono tornato a casa, entrambe le volte, col nodo alla gola. Non lo nego. Di certo, i temi che affrontano non sono adatti a tutti.
Il brano “Lifeforms”, ad esempio, tratto dal primo album “If You Leave”, è di una profondità disarmante. Una madre dà suo figlio in adozione, perché le ricorda il padre, che l’ha abbandonata. Tenerlo sarebbe troppo doloroso, ma presto lo sarà anche il senso di colpa. Da una parte, spera che non la dimentichi. Dall’altra, si augura di dimenticarlo. Di strapparlo dalla memoria come fosse un insetto, spazzato via dal parabrezza.
Ancora, il brano “Doing the Right Thing”, tratto dal secondo album “Not To Disappear”, affronta il tema delle malattie neurodegenerative. Non lo fa dal punto di vista dell’anziano, ma dal punto di vista dei figli. Quando comincerà a non riconoscere più i suoi figli; quando, tornando bambino, comincerà a chiamare il nome di sua madre, ignaro della sua precedente dipartita; i figli sapranno fare la cosa giusta. Lasciarglielo credere. Lasciargli credere che, prima o poi, sua madre, la loro nonna, riuscirà a sentirlo.
Fuggiamo, sbagliamo e ci ripromettiamo di non farlo più. Di crescere la mattina seguente. Alla ricerca di nuovi modi per non arenarci nelle secche, per non scomparire.
(Dai brani “Run”, “Amsterdam”, “Shallows” e “New Ways”).
Tommaso Germinario